In questo primo studio si è investigato sulle possibili cause della “Morìa” focalizzando l’attenzione sulla presenza di funghi potenzialmente patogeni e su possibili strategie per il contenimento del problema.

INDAGINI SULLA MORÌA DEL KIWI NEL LAZIO

Francesca Durante, Dott Mauro Sbaraglia, Dott Lorenzo Sbaraglia, Dott Marco Scortichini, Dott Massimo Pilotti, Dott Valentina Lumia, Fabio Marocchi, Marco Mastroleo.

PREFAZIONE

La coltivazione del Kiwi è per alcune aree dell’Italia una coltivazione strategica. Con circa
9500 ettari in produzione la provincia di Latina è la più importante.
Dal 2016 la coltura nell’ area pontina è stata colpita dalla sindrome denominata “Morìa”, già osservata nel Veronese sin dal 2012 e successivamente anche in altre aree del Nord Italia (1).
Nel Lazio si stima che la superficie colpita rappresenti il 5-15%.
Il sintomo più caratteristico interessa l’apparato radicale che presenta imbrunimenti e necrosi dello xilema, progressiva perdita del capillizio radicale, ipertrofia ed arrossamento dello strato corticale delle branche radicali che va incontro a marciume e distacco del cilindro xilematico. Tale degenerazione pressoché totale delle radici provoca un deperimento generale e progressivo della porzione epigea della pianta. In particolare, le foglie mostrano ampie aree necrotiche (brusone), e nel tempo la pianta va inevitabilmente incontro a morte. Le perdite economiche risultano ingenti e dovute alla perdita di produzione, alla rimozione degli individui morti e al reimpianto di nuovi individui che possono poi subire lo stesso destino. Si pensa pertanto che alla base della manifestazione della Morìa ci siano fattori di stress a carico del sistema radicale (ad esempio ristagno idrico o in generale condizioni del terreno che sfavoriscono una adeguata circolazione di ossigeno).
In questo primo studio si è cercato di investigare sulle possibili cause della “Morìa”
focalizzando l’attenzione sulla presenza di funghi potenzialmente patogeni e su possibili
strategie per il contenimento del problema.